La Pubblicità Nativa, chiamata anche native advertising o contenuto sponsorizzato, è un tipo di pubblicità che corrisponde alla forma e alla funzione della piattaforma su cui appare.
Che cos’è tecnicamente la Pubblicità Nativa
Obiettivo del native advertising è riprodurre l’esperienza-utente del contesto in cui è posizionata, sia nell’aspetto che nel contenuto.
In molti casi viene promossa attraverso un articolo pubbliredazionale oppure si manifesta sotto forma di video, landing page o guida di approfondimento. La parola “pubblicità nativa” si riferisce alla coerenza del contenuto con gli altri media o messaggi che appaiono sulla piattaforma.
La caratteristica principale della pubblicità nativa è che prova a ridurre il riconoscimento dell’annuncio da parte dei consumatori grazie alla sua integrazione nel contenuto nativo della piattaforma. Pur essendo etichettato come “contenuto sponsorizzato” o “brandizzato”.
I lettori possono avere difficoltà a identificare un native advertising immediatamente. Il classico esempio gli sono annunci pubblicitari posti tra gli articoli suggeriti o correlati al termine di un contenuto. Proprio per la loro natura “nativa”, soprattutto quando vengono utilizzate etichette come “Da tutto il Web“, possono attirare il clic del lettore o di chi naviga sul web.
Precursore della pubblicità nativa è il product placement (o embedded marketing). La strategia di marketing di posizionamento del prodotto punta a collocare il marchio o un prodotto all’interno del contenuto stesso. Sono famosissimi i film hollywoodiani che fanno ricorso al product placement. Invece nella pubblicità nativa prodotto e contenuto si fondono all’interno della stessa piattaforma.
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I formati del Native Advertising
I formati contemporanei per la pubblicità nativa ora includono video sponsorizzati, immagini, articoli, commenti, musica e altre varie forme multimediali.
La maggior parte dei metodi di pubblicità nativa è legata alla presenza online. Qui è comunemente impiegata per veicolare il traffico web verso contenuti sponsorizzati dalla piattaforma dell’editore, un concetto molto simile al tradizionale articolo pubbliredazionale.
Esempi alternativi di tecniche moderne includono la pubblicità associata ai motori di ricerca. Quando compaiono annunci sponsorizzati subito accanto ai risultati di ricerca che si qualificano come nativi dell’esperienza di ricerca (tecnicamente risultati organici).
Altri esempi famosissimi includono i tweet promossi da Twitter, le storie promosse da Instagram o TikTok e i post promossi da Facebook. La forma più conosciuta e ampiamente utilizzata di marketing nativo è quella che si manifesta con il posizionamento di contenuti sponsorizzati da brand posti accanto a contenuti editoriali. Oppure pubblicità nativa che mostra una serie di “altri contenuti che potrebbero interessarti“.
La logica psicologica è la stessa utilizzata dall’e-commerce più famoso al mondo, Amazon, per fare up-selling e proporre altri prodotti all’utente che naviga sulla pagine di acquisto.
Pubblicità nativa e Content Marketing
Tra Pubblicità Nativa e Content Marketing esiste una relazione molto stretta. La prima non potrebbe esistere senza il supporto del secondo.
Creare campagne di native advertising risulta estremamente complesso (se non addirittura impossibile) senza un contenuto multimediale che fornisce al lettore o all’utente un supporto informativo ben strutturato e indirizzato alla promozione.
Recentemente sono sorte controversie sul fatto che il content marketing sia una forma di marketing nativo o se siano forme di marketing con stili nettamente diversi. I digital marketer affermano che la pubblicità nativa utilizza le principali tecniche di content marketing e senza queste, una campagna di native advertising non potrebbe funzionare. Ovviamente non tutte le campagne di pubblicità nativa sono uguali tra loro.
La forma, il contenuto e la strategia stessa della campagna pubblicitaria variano a seconda della piattaforma che la ospita.
Pubblicità nativa e contenuti sponsorizzati
Negli ultimi anni, la forma più conosciuta di pubblicità nativa è stata quella dei contenuti sponsorizzati. Per certi versi, una sotto-categoria del native advertising.
La produzione di post e contenuti sponsorizzati (talvolta abbreviati come “sponcon“) presuppone la partecipazione di società di terze parti insieme a una società di gestione dei dati personali e delle attività promozionali. Queste mettono a disposizione di aziende, professionisti e imprenditori, una piattaforma tramite la quale poter raggiungere il pubblico utente attraverso contenuti creati ad hoc.
Come anticipato, l’esempio più chiaro sono i social media. In questo caso la strategia di marketing utilizzata come pubblicità nativa è quella dell’influencer marketing. Ovvero un profilo o personaggio particolarmente popolare su una piattaforma social, promuove prodotti o servizi direttamente all’interno del canale social.
I contenuti sponsorizzati sono indubbiamente diventati sempre più popolari sulle piattaforme di social media probabilmente a causa della loro efficacia in termini di costo. Oltre che essere particolarmente efficienti in termini di rapidità di conversione e capacità di ricevere feedback istantanei sulla commerciabilità di un prodotto o servizio sulla piattaforma.
A differenza delle forme tradizionali di pubblicità nativa, i contenuti sponsorizzati richiamano l’esigenza e il desiderio di trasparenza. Si basano sul concetto di fiducia preesistente e / o costruita nel tempo tra utente social e content creator. Ciò fa sì che il consumatore, pur riconoscendo il momento di sponsorizzazione dell’influencer, apprezzi questa forma di pubblicità nativa.
La logica alla base dei contenuti sponsorizzati, è simile a quella della pubblicità nativa. Ovvero inibire il riconoscimento dell’annuncio da parte dei consumatori fondendo promozione e contenuto nativo della piattaforma. Alcuni utenti sono inconsapevoli di guardare un annuncio pubblicitario. Altri capiscono la finalità ma non sono infastiditi nel proseguire la fruizione del contenuto.
A volte i contenuti sponsorizzati sui social media, come qualsiasi altro tipo di pubblicità nativa, possono essere difficili da identificare. A causa della loro natura spesso “ambigua”. La pubblicità nativa gioca proprio sulla capacità di mascherare contenuti pubblicitari come se fossero contenuti informativi.
Native Advertising e piattaforme digitali
Le piattaforme pubblicitarie native sono classificate in due categorie principali:
- Le piattaforme “chiuse“
- Le piattaforme “aperte“
Le piattaforme chiuse sono contenitori creati da aziende e brand allo scopo di promuovere i propri contenuti direttamente sui propri siti web. Gli annunci visualizzati su queste piattaforme non vengono visualizzati su altre. Questi tipi di annunci sono creati per un uso esclusivo sulla piattaforma di proprietà. Strutturati attorno all’esposizione su slot pubblicitari che rientrano nei confini del sito web. In poche parole, la pubblicità nativa distribuita su piattaforme chiuse è generata dall’azienda proprietaria della piattaforma stessa. Esempi popolari di piattaforma chiusa sono i Tweet sponsorizzati su Twitter, Post e Storie sponsorizzate su Facebook, annunci video su YouTube e TikTok.
Le piattaforme aperte si distinguono per la promozione di un contenuto sponsorizzato contemporaneamente su più piattaforme, tecnicamente secondo i canoni omnichannel. Rispettando le variazioni tecniche dei formati richiesti per il native advertising. A differenza delle piattaforme chiuse, la pubblicità nativa ha una sua evoluzione al di fuori di un determinato sito web. E di solito è distribuito su più piattaforme da società di terze parti, il che significa che gli annunci che compaiono su piattaforme aperte sono pubblicati da un inserzionista.
Sempre più di frequente vengono utilizzate opzioni ibride di piattaforme per pubblicità nativa.
Le piattaforme ibride consentono la pubblicazione di contenuti sponsorizzati su un “circuito chiuso”. Gli inserzionisti hanno la possibilità di fare un’offerta sugli spazi pubblicitari tramite acquisto diretto o aste programmatiche in tempo reale (RTB). In questo modo gli annunci distribuiti su piattaforme ibride sono pubblicati dalla piattaforma stessa.
Perché le aziende puntano sempre più spesso alla Pubblicità Nativa?
Prima di tutto perché funziona. Il 53% degli utenti preferisce guardare annunci nativi rispetto agli annunci display (più invasivi). Gli annunci nativi generano un engagement del 18% in fase di acquisto.
La pubblicità nativa bypassa le difficoltà di conversione dell’advertising tradizionale. Il pubblico sembra ormai essersi “anestetizzato” a tutte le forme di pubblicità a pagamento sul web. Gli utenti si annoiano nel vedere una serie infinita di annunci che appaiono durante la navigazione.
Moltissimi smettono di prestare attenzione alla pubblicità, e in alcuni casi la bloccano con appositi tool di navigazione (ad-blocker). Il native advertising, grazie ad un’esposizione mascherata del brand da contenuti editoriali, non mette sotto stress l’utente.
Finché il contenuto è rilevante e interessante, il Native Advertising coinvolge il pubblico. I consumatori sanno che gli annunci nativi sono una forma di pubblicità, ma non gli importa. In un recente studio della Stanford University, i ricercatori hanno scoperto che il Native Advertising non è percepito come ingannevole.
I consumatori sono ben consapevoli di guardare una forma di pubblicità. Ma grazie al contenuto e al formato particolare, gli annunci nativi hanno ancora un effetto significativo sul comportamento di acquisto.
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